Il continuum tra cibo ed emozioni

Il continuum tra cibo ed emozioni

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Troppo spesso oggi ci si concentra, per non dire che ci fissa, solo sull’alimentazione e ci si dimentica che nella nostra costituzione di essere umani, la metabolizzazione delle emozioni e delle esperienze attiva le stesse vie biochimiche coinvolte nella processazione dei cibi.

Cibo ed emozioni devono sempre essere considerate come due facce inscindibili di un’unica medaglia.

Cibo ed emozioni: 2 facce della stessa medaglia

I rituali tradizionali quali la benedizione del cibo prima di mangiare, al di là del fatto religioso in sé, svelano la natura più spirituale dell’atto del mangiare, ricordandoci come l’alimentazione sia un processo sacro, capace di attivare processi anche più nobili, più fini, rispetto al solo “ingurgitare” alimenti e “spezzettare” carboidrati e proteine. Quando mangiamo, percorriamo gli stessi sentieri che sono adibiti anche alla comprensione e alla nostra personale crescita come esseri umani. Tutto di noi è coinvolto in quel momento, emozioni e pensieri in primis.

Non si parla con la bocca piena

non si parla mentre si mangia

Oppure basta pensare ai tormentoni con i quali molti di noi sono stati redarguiti nell’infanzia: Non si parla con la bocca piena! Beh, prima di diventare una questione di buona educazione, probabilmente questa “regoletta” nasceva per ricordarci proprio questo: se parlo, attivo altre situazioni che potrebbero interferire con il sano svolgersi della digestione. Se parlo, penso e se penso mi emoziono. Attivo cioè tutta una serie di processi che richiedono al corpo uno sforzo notevolmente più alto: dovrò elaborare non solo il cibo materico, ma anche quello mentale ed emotivo che sta transitando.

Quindi cosa devo mangiare?

Al di là della fascinazione che questi discorsi possono esercitare, è importante tradurre in gesti concreti questa comprensione. Bisogna cioè evitare di ridurre la questione al solo “quindi quali cibi evitare?” o “quali cibi preferire?”. Limitarsi alla selezione dei cibi appropriati può risultare  de-responsabilizzante! Questo non significa assolutamente togliere un ruolo alla centralità dell’alimentazione nella salute dell’uomo, anzi. Si tratta di riportare l’alimentazione all’interno del continuum che per natura le spetta: non può essere un tassello estrapolato da tutto il discorso sull’uomo, che è materia e spirito, quindi cibo e psiche/anima.

E’ come se ci occupassimo di mettere nella nostra macchina l’olio e il gasolio di primissima qualità, pensando che questo ne ottimizzi le prestazioni. Ma se non mi responsabilizzo anche sullo stile di guida, a poco servirà l’attenta e accurata scelta delle materie prime che la alimentano!

Fa che il cibo sia la tua medicina
e che la medicina sia il tuo cibo” (Ippocrate)

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Alla luce dei profondi cambiamenti che l’industrializzazione ha portato nelle nostre vite in rapporto all’ambiente e alla filiera alimentare, credo che il senso autentico di questa frase si sia perso. Non possiamo più pensare che SOLO il cibo sia la nostra medicina.  E questo per due ordini di ragioni principali.

La ridotta vitalità del cibo

1) Noi non abbiamo più quel cibo di cui parlavano i nostri padri sapienziali. Prima il cibo era direttamente connesso con la vita della natura e con quella dell’uomo.  Oggi non abbiamo più un cibo artigiano, frutto di una diretta lavorazione dell’uomo e che si impregna della sua vitalità. Non è più un cibo vivo. Sicuramente noi possiamo ”addizionare” un certo quid quando lo ingeriamo, ma è proprio qui che subentra la consapevolezza del processo di alimentazione. Non posso nutrirmi meccanicamente, devo accendere l’interiorità in un certo modo. Allora il cibo diventa la mia medicina nella misura in cui mi occupo della medaglia nella sua interezza: non solo cibo materico, ma anche atteggiamento psichico/emotivo.

L’allontanamento dell’uomo
dalla dimensione vitale originaria

2) Non solo il cibo è poco vivo. Ma anche l’uomo medio oggi ha una ridotta “vitalità” globale. E’ decisamente più sconnesso dai ritmi della natura rispetto ai nostri antenati. Quindi, le emozioni hanno oggi un peso e un costo biologico che prima – forse – non avevano in questa misura. L’amplificazione della paura e dell’aggressività attraverso tutti gli odierni mezzi di comunicazione ha un impatto e una potenza che chi ci ha preceduto non ha certo conosciuto.L’industrializzazione ha stravolto l’ordine di natura non solo in relazione alla produzione del cibo, ma anche alla struttura e alla funzione umana.

A vino nuovo, otri nuovi

vino nuovo otri nuovi

Questo ci deve far ricordare che la sola leva del cibo potrebbe non essere sufficiente per curare. Se attraverso un nuovo stile alimentare passa anche un nuovo stile relazionale/emotivo, allora la faccenda cambia. Ma se il “nuovo” cibo passa attraverso lo stesso schema e stile emotivo…non va più bene. Non a caso, tutti gli approcci più seri all’alimentazione sono basati su un sistema filosofico e di visione dell’uomo che oggi abbiamo completamente perso. Resta un insieme di ricette e di combinazioni che non hanno più le loro fondamenta autentiche. Penso alla filosofia taoista o alla meraviglia della filosofia macrobiotica dell’ordine dell’universo. Su queste premesse, allora sì che il cibo potrà essere la tua medicina. Ma pensare oggi che il solo cibo sia la medicina, potrebbe essere una verità parziale.

Dobbiamo ricostruire la verità universale nella sua interezza.

Nei tempi della globalizzazione dell’informazione, il problema non è il falso, ma le verità parziali, estrapolate dall’intero contesto originale di appartenenza.

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