Non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito

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Non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito
Sottotitolo: La questione delle “comorbidità”

Sarò stata ispirata dalla Pentecoste, ma questa citazione evangelica oggi voglio proporla con una chiave di lettura diversa, che non attiene a matrimoni e divorzi.

Questo versetto andrebbe insegnato e spiegato in tutti i corsi di studio a carattere medico-sanitario. Perché quello che abbiamo costantemente davanti agli occhi è un vero e proprio scempio che la medicina compie nei confronti di quella totalità dell’essere umano che dovrebbe essere sacra.

La natura ha posto l’uomo come essere unico, integrale e, appunto, indivisibile nel suo continuum tra psiche e corpo, energia e materia.

E invece l’approccio imperante pone e impone una parola chiave su tutte che è “comorbidità”. Comorbidità non significa altro che la presenza nello stesso soggetto di più patologie e/o sintomi. Di conseguenza ogni sintomo/patologia viene trattata da quel certo specialista e richiede quella specifica serie di farmaci. Il risultato è quell’imbarazzante fogliettino che quasi ogni paziente sopra i 60 anni (ma spesso anche più giovane) ti mostra e dove sono riportati tutti i farmaci che prende, generalmente più di uno per ogni sintomo di cui soffre.

Le comorbidità sono una bella invenzione per legittimare una “parcellizzazione” che non esiste nella realtà della natura del nostro corpo. Sono uno strumento per operare una dissezione anatomica che è pari a quella che si esegue sui cadaveri.

Davanti a questo scenario, ringrazio ogni volta per la scelta presa ai tempi della laurea di non specializzarmi e di non sottopormi a quell’ansia da test di ingresso “salva-vita”. Quella corsa frenetica al “posto” nella scuola di specializzazione obnubila qualunque capacità e volontà di vedere “oltre” la malattia organica delle persone. L’immersione nella conoscenza di quello specifico organo o apparato genera poi uno scarico “certificato” dalla responsabilità di capire cosa sta succedendo in altri distretti, e quindi cosa sta comunicando quella persona con i suoi “diversi” disagi fisici.

Mi chiedo spesso se porteremmo mai la nostra macchina da un meccanico che si occupa solo di manutenzione dello spinterogeno. Oppure solo della revisione della pompa dell’acqua. Per la nostra automobile, tutti vogliamo un bravo meccanico che sappia vedere la dinamica d’insieme di funzionamento dei vari pezzi, per trovare la causa da cui deriva il problema che periodicamente si presenta.

Quando passiamo al nostro corpo, questa logica sembra non funzionare più…e con questa metafora ci stiamo limitando solo all’aspetto meccanico!

Sorrido quando un paziente mi parla dei suoi problemi alla tiroide come di “altra cosa, che non c’entra niente” con i suoi sintomi intestinali o osteo-muscolari…perché per quelli “è seguita da quell’altro specialista”…

A livello chimico e fisiopatologico possiamo senz’altro riconoscere percorsi diversi che motivano i “diversi” sintomi; ma qui si tratta di capire che, quali e quanti siano i sintomi e/o le malattie, c’è una sola persona che sta comunicando qualcosa, e lo fa in diversi modi, in diversi linguaggi. Se vogliamo capire il senso di una frase di una persona, non possiamo estrapolare chirugicamente questa frase dalla comprensione di “chi è” quella persona. Ecco perché gli stessi sintomi spesso significano cose diverse tra loro nelle diverse persone, ed ecco perché sintomi diversi invece spesso “rafforzano” sempre lo stesso concetto che quella persona cerca di esprimere…

Per come la vedo oggi, la specializzazione dovrebbe essere uno degli ultimi passi da compiere per l’operatore sanitario. Non sono infatti per niente contraria alle specialità in sé, ritengo invece che questa acquisti rilevanza e significato solo dopo essere diventati abili conoscitori del linguaggio globale parlato dall’essere umano. E questo richiede tempo. Oltre che pazienza e continua umiltà. Umiltà nel riconoscere di non aver capito, nel rifiutare la comodità dell’ennesima soluzione preconfezionata che si affaccia nella mente.

Mi piacerebbe che almeno uno dei tanti giovani medici alla ricerca di un posto in specialità possa vedere l’opportunità che ha dietro a quel concorso non andato a buon fine…

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